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04 Settembre 2010

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AleNapoli Tour CAMPANIA

NAPOLI: LA TERRA DI PARTENOPE VISITE GUIDATE ALENAPOLI TOUR

Ho visto cose che voi umani non potreste immaginarvi ...
Vieni con noi di ALENAPOLI Tour per visitare la Napoli sotto il profilo dell’Esoterismo e del Mistero con i suoi aneddoti e personaggi più rappresentativi: elementi che creano l'originalità di una città rendendola unica al Mondo. La cultura greca, dove la gente partenopea ha origine avvicina molto i due mondi del sacro e del profano... in una mescolanza di modi di essere e di vivere il quotidiano.
L'itinerario si svolge lungo le strade ed i vicoli caratteristici dei Decumani Maggiore ed Inferiore, luogo misterioso che vide con l'Agorà la nascita della nuova città … chiamata per l'appunto Neapolis.
La nostra iniziativa nasce dalla richiesta sempre più incessante di voi turisti e lettori di saperne di più … sul cosa sono e come nascono le Anime Pezzentelle, alcune figure misteriose come la Bella ‘Mbriana e il Munaciello e, le leggende che circondano Castel dell’Ovo e personaggi esoterici come il Principe Raimondo de Sangro concludendo la visita nella ex-sede della Massoneria di Napoli nella Galleria Umberto I.
Grazie alla nostra collaborazione vivrete un'esperienza particolare, articolata in tre parti (Chiesa di Santa Maria delle anime del Purgatorio ad Arco, Cappella San Severo, Galleria Umberto I).
Principe Raimondo De Sangro figura esoterica napoletana
I Fantasmi di Napoli
Spettri, figure misteriose, rumori stridenti, atmosfere cupe e tanta fantasia; sono i fantasmi napoletani:

Il fantasma di Piazza san Domenico Maggiore
Lo spettro di Maria D’Avalos, uccisa dal marito Principe Gesualdo per via della sua relazione adulterina col duca Fabrizio Carafa, si farebbe notare secondo la tradizione popolare nei pressi di Piazza S.Domenico Maggiore, in prossimità del Palazzo di Sansevero dove la donna fu uccisa.
Si dice che nelle notti di luna piena sarebbe possibile notare una evanescente figura femminile che, in vesti succinte e con i capelli mossi dalla brezza, si aggirerebbe dolente alla ricerca del suo amante Fabrizio.
Sarebbe altresì udibile un sibilo simile ad un soffuso lamento.

Il fantasma dell’impiccato
In zona Corso Garibaldi, pare vi sia un condominio infestato dal Fantasma di un impiccato. La sua testa appare lungo le scale ed ha terrorizzato molte persone.
L’apparizione sarebbe da imputarsi ad un soldato spagnolo che fu impiccato dal popolo in rivolta.

Il fantasma di via Bovio
Lungo le strade che confluiscono nella piazza, appare lo spettro di una donna del Seicento.
Il suo Fantasma fugge disperato come se fosse inseguito.
Nessuno é riuscito però a scorgere il suo volto e ad avvicinarla.
Si ritiene che l’apparizione sia quella di una donna violentata e poi uccisa dai saraceni molti secoli fa.

Il fantasma del Palazzo reale
Maria Carolina di Borbone, sposa di Ferdinando IV di Napoli, dà vita a sfarzosi ricevimenti nelle sale del museo di Capodimonte.
Nei saloni apparirebbero luci e misteriose figure.
Le danze sono accompagnate dal suono di antichi strumenti musicali.

Il fantasma di Palazzo Fuga
Questo antico palazzo, che alcuni secoli addietro ospitava i poveri della città, secondo alcune indiscrezioni sarebbe ancora popolato da misteriose presenze: bagliori alle finestre, strane figure e lamenti animano questo luogo.

I fantasmi del Ponte Sanità
Il ponte si trova in zona Capodimonte. Secondo alcune testimonianze, durante le notti piovose, sarebbero udibili i lamenti e i pianti di coloro che ivi si suicidarono

Il fantasma di via Marina
Lungo questa via appare lo spettro di un soldato della marina americana.
Costui apparirebbe (cosa curiosissima!) solo quando negli appartamenti della zona vengono preparate delle patatine fritte.
Biondo e con un amichevole sorriso, in testa porta la tipica bustina della marina militare.

Il fantasma della Chiesa di santa Chiara
Giovanna I d’Angiò, regina di Napoli, fu uccisa nel 1382 nel castello di Muro per ordine di Carlo III di Durazzo che ne aveva invaso il regno. Poiché ella aveva appoggiato l’antipapa Clemente VII, papa Urbano VI non le concesse la sepoltura in terra consacrata.
Ebbene, secondo una tradizione partenopea, ogni anno nella ricorrenza della sua morte, Giovanna apparirebbe nel chiostro della chiesa di Santa Chiara.
Secondo quanto si narra, avanzerebbe lentamente lungo i vialetti o rasente ai muri col capo chino.
Nel suo incedere, di tanto in tanto, farebbe qualche sosta sollevando lo sguardo. Una nota di colore vuole che la sua espressione sia così terribile da determinare la morte di chiunque incroci i suoi occhi.
Una segnalazione che sembra molto legata alle leggende popolari della zona più che a qualche episodio concreto ma che vale tuttavia la pena di sottolineare

Il fantasma della basilica dell’Incoronata
In questa Basilica, in alcuni periodi dell’anno (ed in particolare durante la primavera), lungo le adiacenti gradinate appare lo spettro di una giovane ragazza in abito nuziale.
Ella avrebbe dovuto percorrere quei gradini per coronare il suo sogno d’amore ma, proprio nel giorno fissato per il matrimonio, morì di tisi.
Curiosità: il Fantasma sembra apparire solo alle ragazze nubili.

Prenotazione: Per piccoli gruppetti possibilità di prenotare almeno due giorni prima.

Orario escursione di mattina:
inizio tour alle 09:00 fino alle 13:00 ;
Orario escursione pomeriggio:
inizio alle 15:00 fino alle ore 19:00.

Il programma di visita può anche essere personalizzato in funzione delle vostre esigenze.

Seguiti da Guida Turistica vi addentrerete in luoghi pieni di MISTERO e di credenza popolare...

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"Io ero ciò che tu sei; tu sarai ciò che io sono"
LA MORTE

Lucia e le anime pezzentelle, Chiesa di S.Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco - Napoli
Lucia l'anima pezzentella più prolifica di aiuti e ben voluta dai napoletani

Credenza popolare vuole che le anime pezzentelle il 2 novembre, nella notte dei defunti, tornino a fare visita alle case che hanno abitato.

Chi sono le ANIME PEZZENTELLE?
Per chi non lo sapesse, le anime pezzentelle, sono anime abbandonate, anime in pena, anime di teschi senza nome, ammassati nelle cave cittadine nel corso dei secoli. Anime in cerca di refrigerio (“refrisc ‘e ll’anime d’o priatorio: dai sollievo alle anime del purgatorio), anime a cui il popolo era, ed è tuttora devoto. Anime a cui ci si rivolge per chiedere una grazia, la protezione dei momenti di bisogno, e in cambio si offrono preghiere, refrigerio dalle fiamme del Purgatorio.
La pratica suggestiva delle adozioni di alcuni teschi che, di solito, venivano messi in teche e venerati o per grazia ricevuta o per voto o per fede, fecero nascere numerose storielle. Ed ecco che in un ambiente cosi magico non potevano non nascere le varie personificazioni delle "anime pezzentelle" , tra queste la figura di Lucia, una giovinetta morta subito prima del matrimonio o, le presenze di uomini morti in guerra, principesse cavalieri. Talvolta poi, i teschi hanno una storia e un nome trasmessi attraverso racconti tramandatisi nel tempo; è il caso del "monaco" (o' capa e Pascale) in grado di far conoscere i numeri vincenti al gioco del lotto, quella del "capitano", figura di riferimento emblematica del cimitero delle fontanelle o quella di "donna Concetta" nota più propriamente come "a' capa che suda". Altro aspetto significativo è legato alle leggende sulle storie dei bambini in particolare quella di "Pasqualino".
I bigliettini scritti in stampatello e le date di pochi mesi o un anno fa, ti ricordano che da queste parti non si aspetta Halloween per andare da Lucia, per parlare con i morti.
Ecco alcuni messaggi rinvenuti nei teschi:
‘Principessa Lucia fai tornare mio marito a casa da me’.
‘Cara Lucia, fai guarire mio fratello da quella brutta malattia’.
‘Grazie principessa Lucia, il tuo capitano’.
Anima bella venitemi in sogno e fatemi sapere come vi chiamate. Fatemi la grazia di farmi uscire la mia serie della cartella Nazionale. Anima bella fatemi questa grazia, a buon rendere...
Napoli 3/4/1944
La famiglia dell'Aviere Lista Ciro trovandosi senza notizie di suo figlio da pochi giorni dopo l'Armistizio e quindi sono otto mesi ed essendo devota di voi aspetta con tanta fede da voi la bella grazia.

Lucia
In qualsiasi mese dell’anno, la nicchia dove c’è il teschio di Lucia (ancora incorniciato nel suo velo da sposa) è piena di bigliettini, preghiere, fiori freschi e di plastica, ex voto. E tra i fiori e gli ex voto, c’è anche un vestito da sposa impacchettato e sistemato ai piedi della nicchia, la ragazza che fa da guida nell’ipogeo, spiega che era preso in prestito da ragazze povere, che altrimenti non avrebbero potuto permettersi l’abito bianco. La leggenda narra di Lucia, ragazza di nobile famiglia, forse morta mentre scappava da un matrimonio combinato oppure morta subito dopo il matrimonio. In ogni caso, una giovane e un amore finito male. E a lei le napoletane si rivolgevano (e tuttora si rivolgono) per ricevere una grazia…
Si rivolgono a lei, e alle altre anime pezzentelle, nella chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco o al Cimitero delle Fontanelle alla Sanità.

Il Teschio del Capitano con "l'occhio nero" Questo teschio era stato adottato da una povera ragazza, ad esso ella rivolge tutte le sue cure e preghiere, supplicandolo perché le facesse trovare marito. Così avvenne e, prima di andare all'altare, la giovane volle ringraziare il teschio per la grazia ricevuta. Il giorno delle nozze tutti erano attirati dalla presenza in chiesa di uno strano tipo vestito da soldato spagnolo; questi, al passaggio degli sposi, sorrise alla ragazza e le fece l'occhiolino. Il marito, ingelosito, lo affrontò e lo colpì ad un occipite con un pugno. Tornata dal viaggio di nozze, la giovane si recò subito al cimitero per ringraziare ancora il suo teschio e lo trovò con una delle orbite completamente nera. Si gridò al miracolo ed il teschio in questione fu indicato come il "Teschio del Capitano". In seguito gli furono attribuiti anche altri miracoli.

'O Munaciello...

Molte sono le leggende popolari e i detti popolani sulla figura più esoterica e strana di Napoli
Il Munaciello personaggio esoterico napoletano

‘O Munaciello è un personaggio imprevedibile ed è temuto dal popolo per i suoi dispetti ma è anche amato perché a volte fa sorprese gradite che sollevano anche economicamente la situazione di una famiglia. Egli si manifesta come un vecchio-bambino che indossa il saio dei trovatelli, che venivano ospitati nei conventi. Amante delle donne, leggermente vizioso, è solito in presenza delle giovani e belle donne palparle con un comportamento da "rattuso" ed in cambio di questo e/o dello spavento che il suo aspetto ripugnante procura a chi lo incontra lascia delle monete. In questo caso non bisogna rivelare a nessuno l'episodio, pena l'accanimento del Munaciello nei nostri confronti.

Vi sono due ipotesi sulla sua origine:
La tradizione narra che la “storia” delle origini del Munaciello: verso il 1445, epoca in cui Napoli era governata dagli Aragonesi, la bella Caterinella (Caterine Frezza), figlia di un ricco mercante, s’innamorò di un bellissimo giovane garzone, Stefano Mariconda. L’amore fu contrastato dal padre di lei tanto che un giorno il ragazzo fu trovato morto nel luogo dove era solito incontrare Caterina. La fanciulla dal grosso dispiacere si ritirò in convento dove in seguito diede alla luce un bimbo deforme. Le suore lo accudirono e gli cucivano vestiti monacali con un cappuccio per nasconderne le deformità. Fù così che quando usciva dal convento per le strade di Napoli il popolo cominciò a chiamarlo “lu munaciello”. Col passar degli anni gli furono attribuiti poteri magici tanto da farlo divenire una leggenda che oggi tutti i napoletani conoscono.
La seconda ipotesi vuole che il Munaciello sia il gestore degli antichi pozzi d'acqua che, in molti casi, aveva facile accesso nelle case passando attraverso i cunicoli che servivano a calare il secchio. Quando non veniva pagato per i suoi servizi egli si vendicava facendo dei dispetti agli abitanti della casa.
Secondo gli occultisti la storia di questo fanciullo è pura invenzione del popolo che volle assegnare aspetti benevoli ad un individuo demoniaco. Infatti secondo la teoria esoterica il munaciello non era altro che una presenza demoniaca del male che, ricorrendo a doni, in realtà ingannava le vittime cercando di comprarne l’anima. Il popolo ha però esorcizzato la paura e ancora oggi aspetta la visita de ‘0 munaciello che può lasciare del denaro inaspettatamente senza chiedere nulla in cambio.

'A Bella 'Mbriana...

Nella credenza popolare napoletana è lo spirito della casa e rappresenta uno spirito benigno.

La Bella Mbriana ... spirito benevolo della Casa Avere questa presenza nelle case significa benessere e salute. Di aspetto avvenente, regna, controlla e consiglia gli abitanti. Nel corso dei secoli, e ancora oggi, è l'antagonista del munaciello. E' anche detta Meriana oppure Mberiana. La derivazione etimologica proviene dal latino: meridiana, il cui mariana indica l'ombra quasi a rappresentare un'ombra sotto cui ripararsi oppure indica il significato etereo dell'essere. A testimonianza dell'affetto dei napoletani verso questa figura, è molto comune a Napoli il cognome Imbriani derivante, appunto, da 'Mbriana. Alla bella 'mbriana piace l'ordine e la pulizia e per questo una casa trascurata la rende irascibile. Quando si decideva un trasloco, si cercava di parlarne fuori casa, in modo da nn farla ascoltare per non tirarsi addosso le sue ire. In antico, si metteva a tavola un posto in più per lei e una sedia libera perchè poteva entrare 'A bella 'Mbriana e sedersi per riposare. Se tutte le sedie fossero state occupate la nostra Amica sarebbe potuta andar via con tutte le sciagure derivanti dalla mancata ospitalità!

'A Janara...

nella credenza napoletana contadina, è una specie di strega presente nei racconti popolari.
La Strega chiamata Janara nella fantasia popolare contadina napoletana

La Janara usciva di notte e si intrufolava nelle stalle dei cavalli per prenderne uno e cavalcarlo per tutta la notte. Completamente nuda e vecchia, una volta scoperta, aggrediva e addirittura sbranava le sue vittime. Aveva l'abitudine di praticare le treccine alla criniera del cavallo che aveva preso, lasciando cosi un segno della sua presenza. Tante volte il cavallo non sopportava lo sforzo immane a cui era sottoposto, e moriva di fatica. Contrariamente a tutte le altre streghe, la Janara era solitaria e tante volte anche nella vita personale di tutti i giorni, aveva un carattere aggressivo e acido. Per poterla acciuffare, bisognava immergersi completamente in una botte piena d'acqua per poi afferrarla per i capelli che erano il suo punto debole. L'etimologia porposta per il termine popolare jamara metteva in connessione tale nome con il latino ianua=porta, in quanto essa è insidiatrice delle porte per introdursi nelle case. Per allontanarla si è soliti mettere, davanti alla porta di casa una scopa di fascine; la janara è costretta a contare i rametti sottili; intanto scompare la luna e, con essa anche il pericolo. Ancora oggi una piccola scopa, appesa alla porta o al muro di casa è ritenuta uno "scaccia-guai".

Napoli e i suoi morti: dai numeri del lotto a un posto di lavoro… i regali dall'aldilà.
Cimitero delle Fontanelle del rione Sanità di Napoli

Nell’antico cimitero delle Fontanelle del rione Sanità, di 3 mila metri quadri, sono conservati circa 40 mila corpi di persone morte per la peste del 1656. I crani delle Fontanelle sono adottati dai credenti. I personaggi fantasiosi che vi si trovano sono: - la statua acefala del Monacone; - Il cranio di Donna Concetta ; - Il cranio del Capitano. C’era una volta il «tiro a otto», cioè il monumentale carro trainato da una flottiglia di cavalli nero-pece, di stazza enorme e capaci di muoversi solenni al ritmo della marcia funebre che accompagnò la salma di Totò da Piazza del Carmine al cimitero. Altri tempi, altre esequie. Oggi un grande personaggio o un povero diavolo vengono accompagnati al cimitero a bordo di anonime station wagon, senza cavalli né fanfare dolenti. Eppure, il rapporto tra i napoletani e chi se ne va resta magico e suggestivo.

IL DIALOGO CON I DEFUNTI
«Guagliù, che cosa grande vi siete persi!», c’era scritto a caratteri enormi sul muro del cimitero di Poggioreale quando il Napoli con Maradona vinse il primo scudetto. Era la primavera del 1987, quel messaggio - tenerissimo verso i «guaglioni» defunti ed ex tifosi che non avevano potuto vivere lo storico trionfo - provocò una sorprendente risposta: «Ma chi ve l’ha detto che ce l’amm’ perza?» (Chi ve lo detto, che ce la siamo persa?), recitava la contro-scritta (a caratteri ancor più vistosi) che comparve la mattina dopo sul muro del cimitero addobbato a festa.
A proposito di calcio (e di complicità fra i morti e i vivi), Napoli è l’unica città al mondo in cui uno dei cimiteri più affollati, quello di Fuorigrotta, è ubicato a non più di 80 metri di distanza dallo stadio san Paolo, lato curva B. Quando la squadra fa gol, nelle cappelle tutto sobbalza. Ed è come se anche i defunti applaudissero al tripudio. Accaparrarsi un loculo a Fuorigrotta, che consente di partecipare da vicino (e per l’eternità) alle prodezze domenicali di Higuain, Calleion e Hamsik, resta il sogno segreto di molti tifosi in età avanzata.
Napoli è anche il luogo in cui all’idolo Maradona è stata issata un’edicola votiva identica a quelle dedicate a san Gennaro e ai santi, con fasci di fiori sempre freschi, lampade votive e altarino addobbato.
C’è un filo vitale che tiene insieme chi se ne è andato e chi ancora abita nei vicoli più antichi. In realtà, nella città del Vesuvio vige la convinzione che chi muore non vada mai via sul serio (Eduardo de Filippo, nella commedia Le voci di dentro, parla con i defunti annidati sotto i mobili di casa): insomma, un po’ di sé resta fra i vivi. E si manifesta nei modi più insoliti, magari con i numeri giusti suggeriti in sogno per un bel terno da nababbi. O con il posto di lavoro che a sorpresa illumina il nipote sfortunato ma prodigo di candelotti e giaculatorie.
Il luogo che meglio racconta la specificità del culto funebre partenopeo resta il cimitero delle Fontanelle, che è nel cuore del rione Sanità (dove nacque Totò) e ospita i resti dei morti senza nome risalenti alla pestilenza del 1656: le cosiddette anime pezzentelle vagano in Purgatorio, in cerca dell’identità perduta e di briciole di pace eterna.
Sebbene sia severamente proibito (nel 1969 il cardinale Corrado Ursi definì la pratica «pagana e superstiziosa»), l’abitudine di «adottare» una fra le 40 mila anime pezzentelle lì custodite, cioè di racchiuderne il teschio in un involucro e di prendersene cura in cambio di favori, grazie e intercessioni, resta assai diffusa tra i fedeli.
Sotto l’occhio severo delle «maste» (le donne anziane addette alla cura dell’ossario) l’adottante sceglie una capuzzella, la ripulisce, le depone una corona del rosario tutt’intorno. Se la capuzzella inizia a sudare, vuol dire che sta intercedendo. Se non suda, vuol dire che non elargirà grazie e va cambiata. Ma accade di rado, perché il cimitero delle Fontanelle è ubicato in una antica cava tufacea in cui l’alto tasso di umidità produce gocce di condensa sui teschi, facendoli sembrare sudati.
Quando nel 1980, con il terremoto, il cimitero fu chiuso, i fedeli chiesero una deroga per entrare perché - spiegarono ai vertici sbalorditi della Curia - «le anime purganti sollecitano in sogno preghiere urgenti». Divieti a parte, le adozioni impazzano.
I defunti, come declamava Totò nella poesia A livella (La livella), «sono tutti uguali». Però alcune capuzzelle restano più famose di altre. E vengono adottate di più: quella del Capitano, per esempio. O quella del Monacone. O quella della sposa Lucia, che annegò mentre aspettava lo sposo sulla scogliera.
Ogni teschio, nasconde una storia magica. E mille credenze. ‘A capa ‘e Pascale (il teschio di Pasquale) fa vincere al gioco del lotto. ‘A Capa d’o Capitano fa maritare una ragazza povera. ‘A capuzzella d’o nennillo (del bambino) garantisce pace tra le mura di casa. E così alle capuzzelle i malati chiedono guarigione, le zitelle un matrimonio, i disoccupati un lavoro. E tutti pretendono i numeri, quelli per vincere al lotto e svoltare nella vita (come accade in Non ti pago, un’altra celebre commedia di Eduardo De Filippo).

La Massoneria a Napoli
Fasi del rituale di iniziazione a Maestro Massone
Un sicuro insediamento della massoneria a Napoli, a parte un precedente non del tutto certo del 1728 (relativo ad una loggia denominata Perfetta Unione), può esser fatto risalire al 1749, ad iniziativa di un mercante di seta francese, tale Louis Larnage, fondatore di una loggia alla quale aderirono diversi ufficiali e numerosi nobili. Dalla loggia originaria si distaccò un gruppo, guidato dallo stesso Larnage, che costituì un’altra loggia di più modesta fisionomia sociale. Nel luglio del 1750, per iniziativa dello Zelaia, Raimondo di Sangro principe di San Severo fu eletto gran maestro della embrionale libera muratoria napoletana e dette rapidamente mano ad una notevole espansione della confraternita.La pubblicazione, avvenuta il 28 maggio 1751, della Bolla Providas Romanorum Pontificum emanata da Papa Benedetto XIV per ribadire la condanna pontificia del 1738, indusse Carlo VII di Borbone (poi Carlo III, come re di Spagna) alla promulgazione di un editto (10 luglio 1751) che proibiva la Libera Muratoria nel regno di Napoli. Avendo avuto sentore della tempesta che stava per abbattersi sulla neonata massoneria napoletana, fin dal 26 dicembre 1750 il principe di San Severo aveva minutamente informato il re sulla esatta realtà dell’organizzazione da lui presieduta e, con altrettanta tempestività, il 1° agosto 1751 inviò al Papa un’abilissima lettera di ritrattazione. Le proteste di lealismo politico-religioso del San Severo valsero a limitare le sanzioni contro i liberi muratori napoletani, che si ridussero per la stragrande maggioranza di essi a una solenne ammonizione giudiziaria.Nel 1763, divenuto re di Spagna fin dal 1759 Carlo VII e regnante sotto la tutela del toscano ministro Bernardo Tanucci l’ancora minore suo figliolo Ferdinando IV, il gran maestro aggiunto della G. L. Nazionale d’Olanda Franc Van der Goes concesse una patente provvisoria di fondazione per una loggia sotto la denominazione di Les Zelés. La patente definitiva venne rilasciata dalla G. L. Nazionale di Olanda il 10 agosto 1763 e ad essa il 10 marzo 1764 fece seguito un’altra patente, che promuoveva la loggia Les Zelés al rango di Gran Loggia Provinciale per il regno di Napoli.Tra il 1766 ed il 1767 un gruppo di fratelli, guidato dall’abate Kiliano Caracciolo, creò una loggia dissidente sotto la denominazione di La Bien Choisie, ottenendo il 26 aprile 1769 una patente di fondazione dalla G. L. d’Inghilterra (Moderns), la quale in pari tempo (7 marzo 1769) aveva altresì rilasciato un’altra patente per una loggia, la Perfect Union n. 368, la quale fu investita del rango di Gran Loggia Provinciale, con a capo il duca di San Demetrio e della Rocca, sostituito nel 1773 da Francesco d’Aquino principe di Caramanico.Nel 1775 il principe di Caramanico proclamò la nascita di una G. L. Nazionale Lo Zelo, ovviamente indipendente dalla G. L. d’Inghilterra, che reagì affidando al duca di San Demetrio e della Rocca il compito di ricostituire una Gran Loggia Provinciale.

re Ferdinando IV e Bernardo Tanucci
Re Ferdinando IV e Bernardo Tanucci persecutori della Massoneria Napoletana Ferdinando IV il 12 settembre 1775 firmava un nuovo editto contro la massoneria, a conferma di quello del 1751. Il 1° gennaio 1776 il ministro Bernardo Tanucci ordinò una perquisizione e nelle mani della polizia rimasero alcuni borghesi, tra i quali il professore di matematica Felice Piccinini ed il grecista Pasquale Baffi, membri della G. L. Provinciale “inglese”. I lavori massonici furono ufficialmente sospesi e il gran maestro principe di Caramanico fu costretto a una pubblica abiura. Ma il processo agli arrestati, grazie alle pressioni esercitate sulla Regina Maria Carolina dallo stesso principe di Caramanico e da Diego Naselli, si concluse con la loro liberazione e con l’inaspettato pensionamento del ministro Tanucci.Nel giugno 1776 i membri della G. L. Nazionale elessero Diego Naselli gran maestro. Nel 1777 quest’ultimo aderì al Rito della Stretta Osservanza Templare, coinvolgendovi per intero la G. L. Nazionale. Nel 1779, a seguito degli sviluppi verificatisi in seno al Regime della Stretta Osservanza mediante il Convento di Lione e la riforma elaborata dal Willermoz con la trasformazione del Regime medesimo in quello Scozzese Rettificato, il Naselli e la sua Gran Loggia Nazionale aderirono alla riforma. Dal 1783, a causa della forzata rinunzia da parte del conte di Bernezzo, il Naselli assunse anche la carica di gran maestro provinciale.Nel frattempo continuava pur sempre a sopravvivere la Gran Loggia Provinciale “inglese” diretta dal duca di San Demetrio, tra i cui aderenti si devono ricordare, oltre al già citato Pasquale Baffi, il giurista Mario Pagano, l’ammiraglio Francesco Caracciolo, il medico Domenico Cirillo, l’ufficiale Giuseppe Albanese. Nel 1784, nel piedilista dell’aristocratica loggia La Vittoria, alle dipendenze del Rito Scozzese Rettificato, troviamo anche il poeta Aurelio Bertòla de Giorgi ed il conte Vittorio Alfieri, iniziato probabilmente tra il 1774 ed il 1775. Alle soglie della rivoluzione francese, tuttavia, la G. L. Nazionale era in piena regressione numerica. Il 3 novembre 1789 Ferdinando IV rinnovò la proibizione delle attività massoniche ed il gran maestro Naselli dette ordine alle logge di sospendere i propri lavori.
È certo che i nascenti clubs giacobini, che avrebbero entusiasticamente sostenuto la repubblica partenopea, reclutarono a preferenza tra i fratelli massoni. Molte delle vittime della restaurazione borbonica, in effetti, erano transitate nelle logge della G. L. Nazionale od in quelle della G. L. Provinciale inglese.
Fonte GOI

La Massoneria a Napoli
Fasi del rituale di iniziazione a Maestro Massone
Un sicuro insediamento della massoneria a Napoli, a parte un precedente non del tutto certo del 1728 (relativo ad una loggia denominata Perfetta Unione), può esser fatto risalire al 1749, ad iniziativa di un mercante di seta francese, tale Louis Larnage, fondatore di una loggia alla quale aderirono diversi ufficiali e numerosi nobili. Dalla loggia originaria si distaccò un gruppo, guidato dallo stesso Larnage, che costituì un’altra loggia di più modesta fisionomia sociale. Nel luglio del 1750, per iniziativa dello Zelaia, Raimondo di Sangro principe di San Severo fu eletto gran maestro della embrionale libera muratoria napoletana e dette rapidamente mano ad una notevole espansione della confraternita.La pubblicazione, avvenuta il 28 maggio 1751, della Bolla Providas Romanorum Pontificum emanata da Papa Benedetto XIV per ribadire la condanna pontificia del 1738, indusse Carlo VII di Borbone (poi Carlo III, come re di Spagna) alla promulgazione di un editto (10 luglio 1751) che proibiva la Libera Muratoria nel regno di Napoli. Avendo avuto sentore della tempesta che stava per abbattersi sulla neonata massoneria napoletana, fin dal 26 dicembre 1750 il principe di San Severo aveva minutamente informato il re sulla esatta realtà dell’organizzazione da lui presieduta e, con altrettanta tempestività, il 1° agosto 1751 inviò al Papa un’abilissima lettera di ritrattazione. Le proteste di lealismo politico-religioso del San Severo valsero a limitare le sanzioni contro i liberi muratori napoletani, che si ridussero per la stragrande maggioranza di essi a una solenne ammonizione giudiziaria.Nel 1763, divenuto re di Spagna fin dal 1759 Carlo VII e regnante sotto la tutela del toscano ministro Bernardo Tanucci l’ancora minore suo figliolo Ferdinando IV, il gran maestro aggiunto della G. L. Nazionale d’Olanda Franc Van der Goes concesse una patente provvisoria di fondazione per una loggia sotto la denominazione di Les Zelés. La patente definitiva venne rilasciata dalla G. L. Nazionale di Olanda il 10 agosto 1763 e ad essa il 10 marzo 1764 fece seguito un’altra patente, che promuoveva la loggia Les Zelés al rango di Gran Loggia Provinciale per il regno di Napoli.Tra il 1766 ed il 1767 un gruppo di fratelli, guidato dall’abate Kiliano Caracciolo, creò una loggia dissidente sotto la denominazione di La Bien Choisie, ottenendo il 26 aprile 1769 una patente di fondazione dalla G. L. d’Inghilterra (Moderns), la quale in pari tempo (7 marzo 1769) aveva altresì rilasciato un’altra patente per una loggia, la Perfect Union n. 368, la quale fu investita del rango di Gran Loggia Provinciale, con a capo il duca di San Demetrio e della Rocca, sostituito nel 1773 da Francesco d’Aquino principe di Caramanico.Nel 1775 il principe di Caramanico proclamò la nascita di una G. L. Nazionale Lo Zelo, ovviamente indipendente dalla G. L. d’Inghilterra, che reagì affidando al duca di San Demetrio e della Rocca il compito di ricostituire una Gran Loggia Provinciale.

re Ferdinando IV e Bernardo Tanucci
Re Ferdinando IV e Bernardo Tanucci persecutori della Massoneria Napoletana Ferdinando IV il 12 settembre 1775 firmava un nuovo editto contro la massoneria, a conferma di quello del 1751. Il 1° gennaio 1776 il ministro Bernardo Tanucci ordinò una perquisizione e nelle mani della polizia rimasero alcuni borghesi, tra i quali il professore di matematica Felice Piccinini ed il grecista Pasquale Baffi, membri della G. L. Provinciale “inglese”. I lavori massonici furono ufficialmente sospesi e il gran maestro principe di Caramanico fu costretto a una pubblica abiura. Ma il processo agli arrestati, grazie alle pressioni esercitate sulla Regina Maria Carolina dallo stesso principe di Caramanico e da Diego Naselli, si concluse con la loro liberazione e con l’inaspettato pensionamento del ministro Tanucci.Nel giugno 1776 i membri della G. L. Nazionale elessero Diego Naselli gran maestro. Nel 1777 quest’ultimo aderì al Rito della Stretta Osservanza Templare, coinvolgendovi per intero la G. L. Nazionale. Nel 1779, a seguito degli sviluppi verificatisi in seno al Regime della Stretta Osservanza mediante il Convento di Lione e la riforma elaborata dal Willermoz con la trasformazione del Regime medesimo in quello Scozzese Rettificato, il Naselli e la sua Gran Loggia Nazionale aderirono alla riforma. Dal 1783, a causa della forzata rinunzia da parte del conte di Bernezzo, il Naselli assunse anche la carica di gran maestro provinciale.Nel frattempo continuava pur sempre a sopravvivere la Gran Loggia Provinciale “inglese” diretta dal duca di San Demetrio, tra i cui aderenti si devono ricordare, oltre al già citato Pasquale Baffi, il giurista Mario Pagano, l’ammiraglio Francesco Caracciolo, il medico Domenico Cirillo, l’ufficiale Giuseppe Albanese. Nel 1784, nel piedilista dell’aristocratica loggia La Vittoria, alle dipendenze del Rito Scozzese Rettificato, troviamo anche il poeta Aurelio Bertòla de Giorgi ed il conte Vittorio Alfieri, iniziato probabilmente tra il 1774 ed il 1775. Alle soglie della rivoluzione francese, tuttavia, la G. L. Nazionale era in piena regressione numerica. Il 3 novembre 1789 Ferdinando IV rinnovò la proibizione delle attività massoniche ed il gran maestro Naselli dette ordine alle logge di sospendere i propri lavori.
È certo che i nascenti clubs giacobini, che avrebbero entusiasticamente sostenuto la repubblica partenopea, reclutarono a preferenza tra i fratelli massoni. Molte delle vittime della restaurazione borbonica, in effetti, erano transitate nelle logge della G. L. Nazionale od in quelle della G. L. Provinciale inglese.
Fonte GOI

La Massoneria a Napoli
Fasi del rituale di iniziazione a Maestro Massone
Un sicuro insediamento della massoneria a Napoli, a parte un precedente non del tutto certo del 1728 (relativo ad una loggia denominata Perfetta Unione), può esser fatto risalire al 1749, ad iniziativa di un mercante di seta francese, tale Louis Larnage, fondatore di una loggia alla quale aderirono diversi ufficiali e numerosi nobili. Dalla loggia originaria si distaccò un gruppo, guidato dallo stesso Larnage, che costituì un’altra loggia di più modesta fisionomia sociale. Nel luglio del 1750, per iniziativa dello Zelaia, Raimondo di Sangro principe di San Severo fu eletto gran maestro della embrionale libera muratoria napoletana e dette rapidamente mano ad una notevole espansione della confraternita.La pubblicazione, avvenuta il 28 maggio 1751, della Bolla Providas Romanorum Pontificum emanata da Papa Benedetto XIV per ribadire la condanna pontificia del 1738, indusse Carlo VII di Borbone (poi Carlo III, come re di Spagna) alla promulgazione di un editto (10 luglio 1751) che proibiva la Libera Muratoria nel regno di Napoli. Avendo avuto sentore della tempesta che stava per abbattersi sulla neonata massoneria napoletana, fin dal 26 dicembre 1750 il principe di San Severo aveva minutamente informato il re sulla esatta realtà dell’organizzazione da lui presieduta e, con altrettanta tempestività, il 1° agosto 1751 inviò al Papa un’abilissima lettera di ritrattazione. Le proteste di lealismo politico-religioso del San Severo valsero a limitare le sanzioni contro i liberi muratori napoletani, che si ridussero per la stragrande maggioranza di essi a una solenne ammonizione giudiziaria.Nel 1763, divenuto re di Spagna fin dal 1759 Carlo VII e regnante sotto la tutela del toscano ministro Bernardo Tanucci l’ancora minore suo figliolo Ferdinando IV, il gran maestro aggiunto della G. L. Nazionale d’Olanda Franc Van der Goes concesse una patente provvisoria di fondazione per una loggia sotto la denominazione di Les Zelés. La patente definitiva venne rilasciata dalla G. L. Nazionale di Olanda il 10 agosto 1763 e ad essa il 10 marzo 1764 fece seguito un’altra patente, che promuoveva la loggia Les Zelés al rango di Gran Loggia Provinciale per il regno di Napoli.Tra il 1766 ed il 1767 un gruppo di fratelli, guidato dall’abate Kiliano Caracciolo, creò una loggia dissidente sotto la denominazione di La Bien Choisie, ottenendo il 26 aprile 1769 una patente di fondazione dalla G. L. d’Inghilterra (Moderns), la quale in pari tempo (7 marzo 1769) aveva altresì rilasciato un’altra patente per una loggia, la Perfect Union n. 368, la quale fu investita del rango di Gran Loggia Provinciale, con a capo il duca di San Demetrio e della Rocca, sostituito nel 1773 da Francesco d’Aquino principe di Caramanico.Nel 1775 il principe di Caramanico proclamò la nascita di una G. L. Nazionale Lo Zelo, ovviamente indipendente dalla G. L. d’Inghilterra, che reagì affidando al duca di San Demetrio e della Rocca il compito di ricostituire una Gran Loggia Provinciale.

re Ferdinando IV e Bernardo Tanucci
Re Ferdinando IV e Bernardo Tanucci persecutori della Massoneria Napoletana Ferdinando IV il 12 settembre 1775 firmava un nuovo editto contro la massoneria, a conferma di quello del 1751. Il 1° gennaio 1776 il ministro Bernardo Tanucci ordinò una perquisizione e nelle mani della polizia rimasero alcuni borghesi, tra i quali il professore di matematica Felice Piccinini ed il grecista Pasquale Baffi, membri della G. L. Provinciale “inglese”. I lavori massonici furono ufficialmente sospesi e il gran maestro principe di Caramanico fu costretto a una pubblica abiura. Ma il processo agli arrestati, grazie alle pressioni esercitate sulla Regina Maria Carolina dallo stesso principe di Caramanico e da Diego Naselli, si concluse con la loro liberazione e con l’inaspettato pensionamento del ministro Tanucci.Nel giugno 1776 i membri della G. L. Nazionale elessero Diego Naselli gran maestro. Nel 1777 quest’ultimo aderì al Rito della Stretta Osservanza Templare, coinvolgendovi per intero la G. L. Nazionale. Nel 1779, a seguito degli sviluppi verificatisi in seno al Regime della Stretta Osservanza mediante il Convento di Lione e la riforma elaborata dal Willermoz con la trasformazione del Regime medesimo in quello Scozzese Rettificato, il Naselli e la sua Gran Loggia Nazionale aderirono alla riforma. Dal 1783, a causa della forzata rinunzia da parte del conte di Bernezzo, il Naselli assunse anche la carica di gran maestro provinciale.Nel frattempo continuava pur sempre a sopravvivere la Gran Loggia Provinciale “inglese” diretta dal duca di San Demetrio, tra i cui aderenti si devono ricordare, oltre al già citato Pasquale Baffi, il giurista Mario Pagano, l’ammiraglio Francesco Caracciolo, il medico Domenico Cirillo, l’ufficiale Giuseppe Albanese. Nel 1784, nel piedilista dell’aristocratica loggia La Vittoria, alle dipendenze del Rito Scozzese Rettificato, troviamo anche il poeta Aurelio Bertòla de Giorgi ed il conte Vittorio Alfieri, iniziato probabilmente tra il 1774 ed il 1775. Alle soglie della rivoluzione francese, tuttavia, la G. L. Nazionale era in piena regressione numerica. Il 3 novembre 1789 Ferdinando IV rinnovò la proibizione delle attività massoniche ed il gran maestro Naselli dette ordine alle logge di sospendere i propri lavori.
È certo che i nascenti clubs giacobini, che avrebbero entusiasticamente sostenuto la repubblica partenopea, reclutarono a preferenza tra i fratelli massoni. Molte delle vittime della restaurazione borbonica, in effetti, erano transitate nelle logge della G. L. Nazionale od in quelle della G. L. Provinciale inglese.
Fonte GOI

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TEATRO SAN CARLO

Via San Carlo, 98 - Napoli Facciata ingresso del Teatro tra i più importanti d'Italia

« Gli occhi sono abbagliati, l'anima rapita. […] Non c'è nulla, in tutta Europa, che non dico si avvicini a questo teatro, ma ne dia la più pallida idea. »
(Stendhal, Roma, Napoli e Firenze nel 1817)


Il Teatro e la sua Storia
Carlo di Borbone affidò la prima costruzione del teatro all'architetto militare Carasale nel 1737 (quattro decenni prima della Scala) il quale riuscì a costruirlo e a compierlo entro il giorno della ricorrenza dell'onomastico del re, quattro novembre dello stesso anno. In quell'occasione fu rappresentata l'opera Achille in Sciro del Metastasio musicata da Domenico Sarro. Il teatro costò ben centomila ducati dei quali ventimila offerti dallo stesso re Carlo. Parte della somma necessaria fu ricavata dalla demolizione del vecchio teatro S. Bartolomeo che aveva preceduto il San Carlo e al suo posto si volle erigere una chiesa. Connessi alla rapidità della costruzione si tramandano episodi che hanno dell'incredibile. Pare che il re congratulandosi con il Carasale in occasione della serata inaugurale per la rapidità dell'esecuzione, esprimesse il desiderio di raggiungere il teatro direttamente dal Palazzo Reale. Detto fatto, nel senso che alla fine dello spettacolo il sovrano poté rientrare nei suoi appartamenti attraverso un percorso effettuato con rapidità ancor più sorprendente. Il teatro s'impose immediatamente all'ammirazione dei napoletani e degli stranieri, per i quali divenne in breve tempo un'attrattiva giudicata senza eguali. Per la grandiosità, la magnificenza dell'architettura, le decorazioni in oro, gli addobbi sontuosi in azzurro, il colore ufficiale dei Borbone sostituito con il rosso dopo l'unità d'Italia, ma anche per l'interesse musicale degli spettacoli. La Scuola napoletana aveva, infatti, in quegli anni incontrastata gloria europea non soltanto nel campo dell'opera buffa ( che nel San Carlo non veniva rappresentata ), ma in quello dell'opera seria con Leo, Porpora, Traetta, Piccinni, Vinci, Anfossi, Durante, Iommelli, Cimarosa, Paisiello, Zingarelli. Così che anche i compositori stranieri considerarono il San Carlo come un traguardo della loro carriera: Hasse, poi stabilitosi a Napoli, Haydn, Johann Christian Bach, Gluck. Allo stesso modo i più celebri cantanti ambirono esibirsi sul palcoscenico del teatro di Napoli e molti consolidarono su di esso la loro fama, da Lucrezia Anguiari a Caterina Gabrielli, ai celeberrimi castrati Caffarelli, Farinelli, Gizziello tutti e tre provenienti dai Conservatori di Napoli sino a Gian Battista Velluti, l'ultimo della categoria. La notte del 12 febbraio 1816 divampò un incendio che lo distrusse completamente. Fu un evento che gettò il lutto su tutta la città e che i giornali di tutta Europa raccontarono con emozione così come con meraviglia ed ammirazione dettero notizia, dieci mesi dopo, alla fine dello stesso anno, che esso era già risorto. Il teatro fu ricostruito dopo l'incendio del 1816 dal Niccolini che lo dotò, lui esperto di acustica, di due grandi pozzi circolari ricoperti da grata della profondità di quasi settanta metri, al fine di migliorarne l'acustica. Camillo Guerra e Gennaro Maldarelli rinnovarono le decorazioni, Giuseppe Cammarano dipinse il soffitto tuttora esistente ed il sipario, poi sostituito nel 1854 con altro di Giuseppe Mancinelli ( Il Parnaso, ancora in uso ). Altri abbellimenti furono fatti nel corso dell'Ottocento e del Novecento. Nel 1941, sempre con l'intento di migliorarne l'acustica, fu costruita una navicella cosiddetta acustica per rendere ancora più perfetta la sonorità della sala, che vanta la possibilità di contenere tremila spettatori. Col tempio della lirica milanese divide il primato della più antica scuola di ballo italiana, fondata nel 1812. Stendhal così lo descrisse: "La prima impressione è quella di essere piovuti nel palazzo di un imperatore orientale. Non c'è nulla in tutta l'Europa che non dico si avvicini a questo teatro, ma ne dia la più pallida idea". Nella prima metà dell'Ottocento le glorie del San Carlo sono legate al nome di quello che Alessandro Dumas definì " il principe degli impresari ", Domenico Barbaja. Malgrado la Scuola napoletana con Zingarelli, Pacini, Mercadante, si tenesse sostanzialmente al passo con i nuovi tempi, Barbaja intuì come per il San Carlo fosse giunto il momento di guardare al di là dei confini impostigli dalla sua tradizione e scritturò come compositore e direttore artistico dei Regi Teatri di Musica Gioacchino Rossini. Questi vi rimase per otto anni, dal 1815 al 1822, scrivendo " Elisabetta regina d'Inghilterra ", " La Gazzetta ", " Otello ", " Armida ", " Mosè ", " Riccardo e Zoraide ", " Ermione ", " La donna del lago ", " Maometto II " e " Zelmira ". Fra i " cantanti di stagione " degli anni di Barbaja si ricordano: Manuel Garcia, sua figlia Maria Malibran, Giuditta Pasta, Isabella Colbran, Giovan Battista Rubini, Domenico Donzelli e i due grandi rivali francesi Adolphe Nourrit e Gilbert Duprez, l'inventore del do di petto ( la rivalità tra i due culminò col suicidio di Nourrit perché il suo successo fu inferiore a quello di Duprez ). Fuggito da Napoli Rossini insieme alla Colbran, amante di Barbaja, al suo posto l'impresario scritturò un altro astro nascente nel mondo del melodramma, Gaetano Donizetti, che rimase al San Carlo dal 1822 al 1838 componendo per il teatro 16 opere tra cui: " Maria Stuarda ", " Roberto Devereux ", " Poliuto " e l'immortale " Lucia di Lammermoor ". Qualche anno prima Barbaja aveva dato fiducia anche ad un altro giovane musicista, uno studente siciliano del Conservatorio San Pietro a Majella, rappresentandogli la sua prima opera " Bianca e Gerlando ". Si chiamava Vincenzo Bellini. Anche Giuseppe Verdi compose per il teatro: " Alzira ", " Luisa Miller " e " Un ballo in maschera "; nel 1872 assunse la direzione artistica dell'intera stagione presentando tra le altre opere l' " Aida " per la prima volta con un successo memorabile. Con il finire dell'Ottocento e della grande stagione del melodramma romantico, il San Carlo rimase tra i protagonisti dei nuovi orientamenti musicali italiani ed europei. Giacomo Puccini e la " giovane scuola ", da Mascagni ai quattro napoletani ( di nascita o di studi ) Leoncavallo, Giordano, Cilea ed Alfano, trovarono il San Carlo pronto ad accogliere le loro opere, mentre l'azione meritoria di un grande musicista e direttore d'orchestra, Giuseppe Martucci, valse ad introdurre la musica wagneriana nelle consuetudini del teatro. Merito del San Carlo, nei primi anni del Novecento, fu anche quello di contribuire in maniera determinante alla preminenza della figura del direttore d'orchestra nello spettacolo lirico: Leopoldo Mugnone, napoletano, grande rivale, ma amico carissimo, di Arturo Toscanini, diresse da solo stupende stagioni, così come Eduardo Vitale, Ettore Panizza, Eduardo Mascheroni, il quale nel 1908, accompagnò personalmente sul podio Richard Strauss, cedendogli la bacchetta per dirigere la prima italiana della sua " Salomé ". E poi Cleofonte Campanini, Vittorio Gui, Gino Marinuzzi e Pietro Mascagni, direttore stabile dal 1915 al 1922. Dal 1915 si segnala un'altra grande figura d'impresario, quella di Augusto Laganà, che guidò il teatro fino alla costituzione in Ente Autonomo nel 1927, introducendo dal 1920 la consuetudine, durata dieci anni, di inaugurare la stagione con un'opera wagneriana; sensibile altresì ai nuovi fermenti dell'opera italiana, con le prime assolute della " Francesca da Rimini " di Zandonai e di " Fedra " di Ildebrando Pizzetti entrambe su testi di Gabriele d'Annunzio. Anche in questi anni si esibirono i maggiori cantanti, ricordiamo solo Tito Schipa, Beniamino Gigli e Toti dal Monte. Sostanzialmente risparmiato, se pur danneggiato in alcune strutture, dagli eventi bellici, il San Carlo venne requisito dalle autorità militari inglesi nell'ottobre del 1943. Gli spettacoli ripresero il 26 dicembre di quell'anno e destinati alle truppe alleate; i civili potevano accedervi solo dal loggione e in galleria. L'occupazione durò fino al 1946. ripristinato l'Ente Autonomo nel '48 con la geniale soprintendenza di Pasquale Di Costanzo, coadiuvato dal direttore artistico Francesco Siciliani, prima, e Guido Pannain, dopo, il San Carlo riprese rapidamente la sua posizione di preminenza fra le istituzioni musicali europee. Presenti sul podio direttori di grande prestigio come Gui, Serafin, Santini, Gavazzeni, Böhm, Fricsay, Scherchen, Cluytens, Knappertsbusch, Mitropoulos. Memorabile la prima del " Wozzeck " di Alban Berg, le esecuzioni in prima italiana di " Arianna " e " Barbablù " di Dukas, " Dall'oggi al domani " di Schönberg, " Carmina Burana " e " La luna " di Orff, ecc. Il teatro San Carlo è stato il primo teatro italiano a recarsi in tourné e all'estero dopo la guerra, al Covent Garden di Londra nel 1946. Nel 1951 ha partecipato al festival di Strasburgo, passando quindi all'Opéra di Parigi per le celebrazioni verdiane. Tornato a Parigi nel 1956, per il Festival delle Nazioni, ha partecipato al Festival di Edimburgo nel 1963. Con un viaggio di 5180 miglia, il San Carlo ha compiuto la più lunga tournée mai affrontata da un teatro lirico, al completo di artisti, tecnici e materiale scenico, recandosi in Brasile nel 1969. Nel 1974 ha dato rappresentazioni a Budapest, nel 1981 a Dortmund in Germania, nel luglio 1982 a Baku in Azerbigian. Nel novembre dello stesso anno il Corpo di Ballo si è esibito a Tunisi con lo spettacolo " Danzando Stravinsky ". Nel maggio 1983 il San Carlo ha partecipato al Festival di Wiesbaden con due produzioni " La sonnambula " e " La forza del destino ", con il " Flaminio " di Giovan Battista Pergolesi allo Spoleto Festival U.S.A. di Charleston e al Festival di Versailles. Nel maggio 1985 il teatro è nuovamente a Wiesbaden con " Rigoletto " e il " Flaminio ", spettacolo, quest'ultimo, che nel giugno dello stesso anno è stato rappresentato al Festival di Dresda. Nel 1987 il San Carlo è a New York dove, nella chiesa monumentale di Saint John The Divine, mette in scena la " Serva padrona " e lo " Stabat Mater " di Pergolesi- De Simone. Poco dopo è in Francia con il " Flaminio ", nel maggio del 1995 ancora a Wiesbaden con " Tosca " di Puccini e nel 1998, con la sua orchestra sinfonica, al Festival di Erl in Austria.

TEATRO SANNAZARO

Via Chiaia, 157 - Napoli
Ingresso del Teatro Sannazaro dove hanno lavorato i più illustru attori napoletani

Il Teatro e la sua Storia
Edificato sull'area dell'antico chiostro dei Padri Mercenari spagnoli, attiguo alla chiesa di Sant'Orsola in via Chiaia, su progetto di Fausto Nicolini per volere di Don Giulio Mastrilli duca di Marigliano, il Teatro Sannazaro fu inaugurato con una " Gran Soirée " il 26 dicembre del 1874. In scena " La petite Marquise " di Mehilac con la compagnia Le Roy-Clarence. E da subito, sia per la ricchezza degli ori e degli stucchi che per le decorazioni del Palliotti che ornavano la struttura, ma, anche per lo spettacolo offerto dalla nobiltà tutta, accorsa in una gara di eleganti toilettes, scintillanti gioielli ed equipaggi; il Sannazaro fu un " Jolie bouquet " con la vocazione all'alta prosa. Come dimenticare la divina Eleonora Duse o Tina Di Lorenzo, la più grande interprete delle opere di Roberto Bracco.
E fu ancora in questo teatro che Eduardo Scarpetta esordì con la più che nota " ' Na Santarella " e che chiuse volontariamente la sua lunga carriera artistica presentandosi per l'ultima volta al pubblico nella commedia " 'O miedeco d'e pazze ". Ma per il teatro di via Chiaia passarono anche Ermete Novelli, Emma Gramatica, Antonio Gandusio, Ruggero Ruggeri ed altri grandi della scena.
Dopo la gestione del Duca di Marigliano e quella, meno fortunata, del conte Luca Cortese, toccò ad Armando Ardovino risollevare le sorti della più elegante sala teatrale di Napoli portandovi i fratelli De Filippo ( Eduardo, Titina e Peppino ) che diedero vita al loro " Teatro Umoristico ".
Dal 1934, per il teatro Sannazaro iniziò la lenta decadenza che lo portò a diventare cinema di dubbia fama.
Nel 1969 Nino Veglia e Luisa Conte diedero il via ai lavori per la ristrutturazione del teatro; un sogno, che giorno dopo giorno, con enormi sacrifici, diventava realtà.
Venerdì 12 novembre 1971 riapre la " bomboniera di via Chiaia ", il salotto di Napoli; la Compagnia Stabile Napoletana di Nino Veglia mette in scena " Annella di Portacapuana ", commedia in tre atti di Gennaro D'Avino nella riduzione dello scrittore Michele Prisco.
Una prima indimenticabile, sul palcoscenico: Ugo D'Alessio, Luisa Conte, Pietro De Vico, Lucia Valeri, Enzo Turco per la regia di Gennaro Magliulo. Le scene sono di Tony Stefanucci, i costumi di Maria Consiglio e le belle musiche del maestro Eduardo Alfieri. E così, tra un successo e l'altro, il teatro Sannazaro porta Napoli e la sua cultura nel mondo.
Alla morte di Nino Veglia la gestione del teatro e della Compagnia resta a Luisa Conte, affiancata dalla figlia Brigida Veglia e dal genero Mario Sansone, fino alla sua scomparsa il 30 gennaio del 1994. Da quel giorno Brigida Veglia e Mario Sansone, con le figlie Lara e Ingrid, portano avanti il discorso teatrale che, iniziato in quel lontano Santo Stefano del 1874, approda alle recenti stagioni improntate, come sempre, alla più pura tradizione culturale napoletana strizzando l'occhio alla bela realtà di qualche nuovo autore. Dalla stagione '94/95, la Compagnia Stabile Napoletana, nella quale hanno militato Ugo D'Alessio, Enzo Turco, Pietro De Vico, Vittorio Bottone, Michele Abruzzo, Guido Lentini, Memmo Carotenuto, Lucia Valeri, Rossella Como, Nino e Carlo Taranto, Giacomo Rizzo, Enzo Cannavale e numerosi altri protagonisti della scena napoletana, cita nel nome la sua fondatrice alla quale dedica ogni lavoro, cambiandosi in " Compagnia Stabile Napoletana Luisa Conte " diretta dalla giovanissima nipote Lara Sansone.

TEATRO AUGUSTEO

Piazzetta Duca d'Aosta, 263 - Napoli - Tel. 081.414243 -
Ingresso del Teatro Augusteo dove si rappresentano le commedie più importanti teatrali di Napoli

Il Teatro e la sua Storia
Nel 1922, per migliorare le comunicazioni con il rione del Vomero in continuo sviluppo, l'amministrazione comunale aveva approvato un progetto per una funicolare che, partendo da via Roma e sottopassando la via Conte di Mola, doveva portare fino al Vomero. Per creare uno sbocco al traffico della funicolare fu ideata una piazzetta all'uscita della stazione inferiore, realizzata con la demolizione di vecchi stabili ad angolo fra via Roma e via Conte di Mola. Questi stabili, o parte di essi, si ipotizza che abbiano fatto parte della proprietà di Palazzo Berio, marchese di Salza. Il palazzo era stato fatto edificare nel '600 da un certo Simon Vaez, nobilitato Conte di Mola dal re di Spagna. Prima di passare nelle mani del marchese Berio, il palazzo, del quale si ignora la primitiva forma, fu dei Tomacelli, che nel 1772 diedero incarico a Luigi Vanvitelli di ridisegnarne la facciata. Sempre in quell'anno il grande architetto, in occasione del battesimo della Reale Infanta Carolina, costruì nel salone da ballo, che conteneva circa 1000 persone, un "teatrino" di 1600 posti, conservando la pianta a forma circolare del salone.
Il palazzo attraversò un periodo di grande splendore, soprattutto per l'ospitalità e la munificenza dimostrata dai proprietari nei confronti degli artisti. Infatti, Francesco Berio fu uomo di vasta cultura, poeta e collezionista d'arte e, non a caso, ancor oggi l'edificio, o almeno ciò che rimane di esso, è conosciuto appunto con il nome del marchese Berio che tanto contribuì a renderlo famoso. Quando nel 1820 il marchese morì, senza eredi maschi, per fare un'esatta divisione dell'eredità tra le quattro figlie si dovette vendere una parte dell'edificio, dando così il via al processo di decadimento dell'imponente e storica struttura. Anche se non ne si è certi si può ipotizzare che fra quegli stabili demoliti per lasciar spazio alla piazzetta ci fosse anche una parte di palazzo Berio, e non è da escludere, quindi, considerata l'attuale collocazione del teatro Augusteo, il cui palcoscenico è situato al di sopra della funicolare, che questo sia stato realizzato sulla struttura dell'antico teatro vanvitelliano. Contemporaneamente alla realizzazione della funicolare, l'architetto Pier Luigi Nervi, uno tra i maestri dell'architettura contemporanea non soltanto italiana ma internazionale, tra il '26 ed il '29 realizzò questo imponente teatro, tra i maggiori a livello europeo rispetto all'epoca in cui fu costruito. " Questa sera alle 21.30 precise con uno spettacolo di gala, al quale interverranno le maggiori autorità cittadine e la più elevata aristocrazia, si inaugurerà l'Augusteo, il più grandioso cine-teatro di Napoli, che la società Funicolare Centrale ha costruito con l'Anonima Pittaluga. Anticipare di poche ore il giudizio del pubblico ci sembra superfluo: i napoletani, varcando la soglia di questo nuovo locale, avranno la sensazione esatta di quanto è stato compiuto per dotare la nostra città di un cine-teatro, che per vastità, comfort, eccezionalità di spettacoli, sia uguale alle maggiori sale cinematografiche d'Europa e d'America. L'Augusteo, che è stato decorato da artisti valentissimi, come Carlo Siviero autore del velario e Ezekiele Guardascione, è capace di oltre tremila posti, dispone di un'immensa platea, di una vastissima galleria, di quattro ordini di palchi, di un colossale impianto di aerazione e di riscaldamento, di ascensori e scala mobile, costruzione della ditta Stigler. Al comfort di questo eccezionale cine-teatro hanno cooperato le migliori ditte italiane... Tutta Napoli sarà stasera all'Augusteo, che inizia la serie di grandi spettacoli col supercolosso Volga Volga. I prezzi dei biglietti che sono in vendita alle ore 18 alle casse del locale sono per questa sera i seguenti: galleria lire 15, sala lire 10, loggiato lire 5".
Così " Il Mattino " annunciava l'inaugurazione dell'Augusteo, con un articolo pubblicato il giorno 8 novembre 1929.
La scelta del nome, l'imponenza della struttura, la profusione di marmi e stucchi, rispecchiano il gusto e l'ideologia della classe dominante dell'epoca, che aveva voluto creare un luogo elegante, come punto d'incontro dell'aristocrazia e delle autorità politiche e militari. La volontà precisa di stupire il pubblico si rivela anche nella scelta della programmazione, che prevede sin dai primi mesi un susseguirsi di grandi " colossi " del cinema, con accompagnamento musicale di orchestre imponenti e cori d'eccezione. Infatti, nella realizzazione architettonica dell'Augusteo si era tenuto conto che tale struttura era destinata alla musica e al canto: di qui la sua eccezionale acustica. Grazie a questa sua peculiarità, l'Augusteo ospita cantanti del calibro di Tito Schipa, Beniamino Gigli, il tenore Giovanni Martinelli e i maggiori esponenti della canzone napoletana.
Dal novembre del 1929 al 10 gennaio del 1930, vengono proiettati film come " Il quartiere latino ", " Giglio imperiale ", " Nina Petrowna " con Brigitte Helm, " Orchidea selvaggia " con Greta Garbo, " Tradimento " con Emil Jennings, per la distribuzione delle maggiori case produttrici, come la Metro Goldwin, la Paramount, la Warner Bros. I films venivano spesso presentati o seguiti da balletti " di lussuosa presentazione sceneggiata ", come cita la presentazione del balletto di Bella Schumann, rappresentato dal 9 al 25 dicembre 1929 dopo la proiezione del film " Giglio imperiale ". Il 10 gennaio del 1930 venne proiettato per la prima volta il super colosso della cinematografia, " sonoro, parlato e cantato ": " L'arca di Noè "... Il successo di pubblico fu inaudito: fino al 23 gennaio, 250 mila persone avevano assistito alla proiezione del film, che fu prorogato per altri due giorni rispetto alla programmazione per soddisfare le richieste del pubblico.
Dal mese di febbraio spesso i film cominciarono ad essere preceduti da pellicole per bambini, come " Topolino contro i gatti " e " Topolino pianista". Questa cura dimostrata per il pubblico più giovane continua in seguito, con le " mattinate infantili " di teatro scuola e, comunque, sarà sempre una caratteristica di questo locale quella di ospitare i più diversi tipi di spettacolo.
Nel 1930 inizia il musi-hall, cui si affiancano Beniamino Gigli con il quartetto d'opera, balletti e danze moderne, tanghi argentini ed acrobazie.
Negli anni successivi la programmazione del teatro vede alternarsi cinema e riviste. Ospita illustri artisti italiani e stranieri, il 25 marzo 1932 debutta Josephine Baker con i balletti del Casinò di Parigi e danzatori americani. Il 9 aprile è il turno della "compagnia di rivista Bluette-Navarrini". Entrambi gli spettacoli furono un trionfo e l'Augusteo sempre più diventa il centro di ritrovo di tutta la " Napoli chic ". Nel 1934 c'è il debutto del teatro di prosa con Elsa Merlini e Sergio Tofano, una precisa scelta di programmazione del teatro, che volle dare un maggiore rigore nelle scelte e nella gestione del locale. Ma il grande evento di quell'anno fu l'arrivo, il 30 marzo, della compagnia di Totò, che rappresentò le sue riviste fino al 13 aprile. Inutile dire che fu una apoteosi di successo con il botteghino che registrò il tutto esaurito tutte le sere. Contemporaneamente l'Augusteo continua ad ospitare rappresentanti famosi, o destinati a diventarlo, della canzone napoletana. Il 14 agosto del '36 si esibisce " La Bottega dei Quattro ", che fa capo a Libero Bovio, Gaetano Lama, Ernesto Tagliaferri e Nicola Valente e si avvalse successivamente della collaborazione di Ernesto Murolo.
Durante la guerra il teatro fu chiuso, per riaprire nel '45 sotto la gestione degli alleati che lo ribattezzarono " Red Cross Club " ( Club della croce rossa ).
Fino agli anni '50 l'Augusteo subì un arresto, fino a quando venne riaperto e ristrutturato. Cambiò dunque aspetto, e l'antico cinematografo-teatro venne stravolto dalla controsoffittatura che ne coprì la volta, mentre i quattro ordini di palchi vennero murati, e le porte e le mura della sala vennero nascoste dietro una pannellatura in legno.
Dalla metà degli anni '80 il cinema cominciò ad avere un netto calo e la programmazione diventò frammentaria ed occasionale, fino alla definitiva chiusura. Quello che era stato il glorioso teatro, salotto dell'antica via Toledo, acquistò l'aspetto di un buio e polveroso deposito; la stessa piazzetta Duca d'Aosta fu lasciata nel totale degrado ed abbandono.
Nell'autunno del '92, partita l'operazione di recupero con la disponibilità dell'Amministratore Unico della S.A.C.I.A.V., società proprietaria, Dott. Ettore D'Auria, e con Renato Abate da una parte, e Francesco Caccavale e Vincenzo Acampora dall'altra, la struttura originaria è stata ripristinata ed il locale riapre " alla città " come sala teatrale. Sul piano tecnico e progettuale, questa operazione è stata ideata e realizzata da Pippo Caccavale, che ne ha curato e diretto il recupero, la valorizzazione, la ristrutturazione e tutte le fasi del restauro.

TEATRO MERCADANTE

Piazza Municipio - Napoli - Tel. 081.5513396
Ingresso del Teatro Mercadante, tra i primi e più gloriosi teatri napoletani

Il Teatro e la sua Storia
Le alterne vicende del Teatro Mercadante già teatro del Fondo, s'inseriscono nella vasta storia teatrale partenopea come testimonianza del patrimonio storico-culturale; di esse si evidenziano i momenti più significativi:
1777-1778
Con l'espulsione dei Gesuiti dal Regno di Napoli e la confisca dei loro beni, fu creato il " Fondo di separazione dei lucri " gestito da una società militare che provvide alla costruzione del Teatro che prese il nome da questa ( Teatro del Fondo ).
31 luglio 1799 Il teatro fu inaugurato con la rappresentazione " L'infedele fedele " di G. B. Lorenzi, musica di Cimarosa.
1799 Con l'avvento della Repubblica Partenopea il teatro assunse il nome di teatro patriottico e fu inaugurato il 26 gennaio.
1809/1815/1829
Il famoso impresario Domenico Barbaja, già gestore del Real Teatro di San Carlo, assunse la direzione del Teatro del Fondo. Durante il lungo impresariato furono presenti grandi artisti e musicisti quali Rossini, Mozart, Donizetti.
1848/1893
Il teatro subì notevoli e radicali restauri; i due più importanti nell'Ottocento. Nel secondo fu rifatta la facciata nello stile attuale, su disegno dell'ing. Pietro Pulli.
Dicembre 1870
Il teatro cambiò nome in onore di F. Saverio Mercadante, musicista pugliese formatosi a Napoli.
7 gennaio 1888
Eduardo Scarpetta rappresenta " Miseria e nobiltà " con grande successo.
3 dicembre 1904
Scarpetta rappresenta " Il figlio di Iorio " parodia dell'opera di D'Annunzio che gli intentò causa.
1914
al Teatro Mercadante viene rappresentata la " Serata Futurista " con Filippo Tommaso Marinetti, ideatore e fautore di nuovissime teorie nel campo teatrale, musicale e delle arti visive.
1920
Primi lavori di restauro: furono costruiti la IV fila di palchi e il loggione.
1938
Francesco Galante fu incaricato di rifare il soffitto e dipinse " Napoli Marinara ".
1958
Nuovi restauri dopo i danni causati dalla guerra.
1959/1960
Il Mercadante diventa Teatro Stabile e ne assumono la direzione artistica Giulio Pacuvio e successivamente il regista Franco Enriquez che mette in scena, tra gli altri spettacoli, per la prima volta in Italia " Il rinoceronte " di Jonesco.
1963
Chiusura definitiva del teatro per inagibilità dovuta a ragioni statiche.
6 luglio 1973
Trasferimento del bene patrimoniale dal Demanio al Comune di Napoli.
Settembre 1979
Inizio dei lavori di restauro e creazione di nuovi servizi: un teatrino sperimentale, una sala di scenografia con uno spazio espositivo sottostante, ampi camerini per gli attori, ampi spazi per il pubblico su tre livelli.
30 settembre 1986
Mostra " Vita e opere di Eduardo De Filippo " ( Teatro ancora cantiere ).
16 maggio 1987
" Histoire du soldat " di Igor Stravinskij, regia di Roberto de Simone. spettacolo realizzato in platea, senza poltrone.
Ottobre 1990/1992
Progetto "Teatro di Napoli - Teatro del Mediterraneo " diretto da Maurizio Scaparro. tra gli spettacoli in scena: " Rasoi " di Enzo Moscato, regia di Mario Martone e Tony Servillo, " Questi fantasmi ", di Eduardo De Filippo, con Luca De Filippo, regia di Armando Pugliese.
24 ottobre 1995
Inaugurazione, con lo spettacolo " L'Opera dei centosedici " di Roberto De Simone, della prima stagione teatrale promossa dal Comune di Napoli, l'Ente Teatrale Italiano e il teatro Pubblico Campano.
1996/1997 - 1997/1998
Il Teatro Mercadante continua la sua attività affiancando al cartellone di prosa, una programmazione di teatro contemporaneo: " Mercadante 2 / Tempo Presente ", promossa dal Comune, l'ETI, la Galleria Toledo, il Teatro Nuovo e il teatro Pubblico campano.
5 novembre 1998
Si inaugura la quarta stagione teatrale ( 1998/99 ) con lo spettacolo " Il Gabbiano " di Cechov, con Valeria Moriconi e Corrado Pani, regia di Maurizio Scaparro.

TEATRO DIANA

Via Luca Giordano, 64 - Napoli - Tel. 081.5567527 Ingresso del Teatro Diana, della zona del Vomero tra i più importanti teatri napoletani

Il Teatro e la sua Storia
Fu Giovanni De Gaudio, padre dell'attuale titolare Mariolina che, appassionato di teatro e cinema, ebbe l'idea di costruire al Vomero una grande sala. Così propose ai suoi tre fratelli d'associarsi a lui in questa impresa rischiosa e nel 1922 fu acquistato, in via Luca Giordano, un suolo di 1200 m. quadrati. Ricco di ben 2000 posti, rilucente delle decorazioni dello scultore Renzo Mascatelli, il Teatro Diana, i cui lavori erano stati curati dall'ingegnere De Lieto, aprì le sue porte al pubblico il 13 marzo 1933, allo spettacolo di " Gala " intervenne Umberto di Savoia, allora principe ereditario.
Il Diana non tardò ad inserirsi nel novero dei migliori teatri e cinema napoletani. Gli spettacoli che venivano offerti erano sempre di ottima qualità. Nel 1934 si esibirono Anna Fougez e Armando Gil ed ancora Isa Bluette e Nuto Navarrini; nel maggio del 1935 Raffaele Viviani vi diede ben dodici commedie, nel giugno successivo Paola Borboni interpretò vari testi di Pirandello; nel 1936 Armando Falcone; nel 1937 Emma Grammatica e nel novembre del '37 il grande Ermete Zacconi. Nel 1937, per la prima volta in Italia Harry Flaming, detto " il re del jazz ", nel febbraio 1939 vennero i tre De Filippo che diedero ben diciassette commedie. C'era già astio allora fra Peppino ed Eduardo, ma i due fratelli non potevano immaginare che proprio lì, in quel teatro, appena cinque anni dopo si sarebbero separati per sempre. " Ci trovavamo a lavorare con la nostra compagnia già da qualche settimana al Teatro Diana sul Vomero a Napoli ed erano gli ultimi giorni del mese di novembre del 1944...già da qualche giorno prima i miei rapporti con Eduardo si erano incrinati. La collera di Eduardo violenta e rabbiosa nei miei confronti, esplose in tutta la sua ampiezza tanto che, a voce alta, presenti tutti gli attori della nostra compagnia, cominciò ad insultarmi con parolacce da trivio... lo lasciai sfogar poi, calmo, battendo lievemente le mani palmo contro palmo, con un tono che non eludeva la più chiara ironia dissi : " Duce...Duce...Duce... ", la data della drastica separazione fu scelta in quella data del 10 dicembre 1944, giorno in cui cessava il nostro contratto con il teatro Diana sul Vomero ". In questi termini precisi, nel suo libro " Una famiglia difficile " Peppino De Filippo rievoca la vicenda della clamorosa separazione fra lui e il fratello Eduardo.
Nel 1945, in seguito ad un bombardamento che fece crollare il tetto, il Teatro Diana chiuse, Giovanni De Gaudio allora chiamò uno dei più prestigiosi architetti dell'epoca, Gino Avena, che lo ristrutturò restituendo al pubblico napoletano un teatro più moderno e confortevole.
Nel 1950 Giovanni De Gaudio morì ed i suoi fratelli si limitarono a programmare il Diana esclusivamente come cinematografo.
Nel 1962 la figlia Mariolina ne divenne la titolare ed, in collaborazione con il marito Lucio Mirra, lo gestì alternando la programmazione cinematografica a qualche rappresentazione teatrale ospitando Nino Taranto, Peppino De Filippo, Alighiero Noschese, Walter Chiari.
Nel 1973, un incendio distrusse l'intero teatro e con la caparbietà che distinse il padre, Mariolina Mirra De Gaudio lo ricostruisce in meno di sei mesi con una struttura modernissima, curata dall'architetto Sergio Tonello, e sarà questa l'occasione per tornare ad una programmazione prevalentemente teatrale. Nel 1978 Lucio e Mariolina Mirra organizzano la prima vera stagione teatrale con cartellone e abbonamenti. Nello stesso anno Lucio Mirra fondò la società di produzione teatrale " Compagnia Teatro Popolare " e ne affida la direzione artistica ad Ugo D'Alessio, vennero rappresentate varie commedie di Scarpetta ed il pubblico accorse entusiasta. Da quell'anno il teatro Diana ospita le migliori compagnie di prosa italiane : da Vittorio Gassman ad Alberto Lionello ed Erica Blanc, da Mariangela Melato ad Aroldo Tieri e Giuliana Lojodice, da Pupella Maggio a Luca De Filippo, da Giulio Bosetti ad Enrico Maria Salerno, da Umberto Orsini a Rossella Falk, da Nino Manfredi a Marcello Mastroianni.
Intanto i Mirra estendono la loro attività di produzione fondando una nuova società, la " Organizzazione Italiana Spettacoli " con cui allestiscono vari spettacoli con Aldo e Carlo Giuffrè, Luigi De Filippo, Lina Sastri, Riccardo Pazzaglia, Leopoldo Mastelloni, Gino Rivieccio, Enzo Cannavale, Silvio Orlando, Giacomo Rizzo e molti altri, fino ad ora sono state prodotte circa cinquanta commedie rappresentate nei migliori teatri italiani e stranieri, ispirate sempre alla cultura ed alla tradizione partenopea.
Oggi il Teatro Diana grazie all'instancabile opera di Lucio e Mariolina Mirra ed ora anche dei tre figli Guglielmo, Giampiero e Claudia è il teatro napoletano che registra il maggior numero di abbonati ( circa undicimila ) ed una sempre maggiore affluenza di pubblico ( circa centocinquantamila a stagione ) e le sue produzioni ottengono ovunque grande successo, infatti in questi ultimi anni la " Diana- Organizzazione Italiana Spettacoli " ha vinto vari Biglietti d'Oro-Agis, riconoscimento istituito per premiare il teatro o lo spettacolo che ha venduto il maggior numero di biglietti in Italia.

Riconoscimenti e premi:
Biglietto d'Oro-Agis 1983/84
Biglietto d'Oro-Agis 1989/90
Premio Taormina Arte 1990/91
Biglietto d'Oro-Agis 1991/92
Biglietto d'Oro-Agis 1994/95
Per il teatro:
Biglietto d'Oro-Agis 1988/89
Biglietto d'Oro-Agis 1989/90
Biglietto d'Oro-Agis 1991/92
Biglietto d'Oro-Agis 1996/97

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"TEATRO SAN CARLO

Lucia e le anime pezzentelle, Chiesa di S.Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco - Napoli
Lucia l'anima pezzentella più prolifica di aiuti e ben voluta dai napoletani

Credenza popolare vuole che le anime pezzentelle il 2 novembre, nella notte dei defunti, tornino a fare visita alle case che hanno abitato.

Chi sono le ANIME PEZZENTELLE?
Per chi non lo sapesse, le anime pezzentelle, sono anime abbandonate, anime in pena, anime di teschi senza nome, ammassati nelle cave cittadine nel corso dei secoli. Anime in cerca di refrigerio (“refrisc ‘e ll’anime d’o priatorio: dai sollievo alle anime del purgatorio), anime a cui il popolo era, ed è tuttora devoto. Anime a cui ci si rivolge per chiedere una grazia, la protezione dei momenti di bisogno, e in cambio si offrono preghiere, refrigerio dalle fiamme del Purgatorio.
La pratica suggestiva delle adozioni di alcuni teschi che, di solito, venivano messi in teche e venerati o per grazia ricevuta o per voto o per fede, fecero nascere numerose storielle. Ed ecco che in un ambiente cosi magico non potevano non nascere le varie personificazioni delle "anime pezzentelle" , tra queste la figura di Lucia, una giovinetta morta subito prima del matrimonio o, le presenze di uomini morti in guerra, principesse cavalieri. Talvolta poi, i teschi hanno una storia e un nome trasmessi attraverso racconti tramandatisi nel tempo; è il caso del "monaco" (o' capa e Pascale) in grado di far conoscere i numeri vincenti al gioco del lotto, quella del "capitano", figura di riferimento emblematica del cimitero delle fontanelle o quella di "donna Concetta" nota più propriamente come "a' capa che suda". Altro aspetto significativo è legato alle leggende sulle storie dei bambini in particolare quella di "Pasqualino".
I bigliettini scritti in stampatello e le date di pochi mesi o un anno fa, ti ricordano che da queste parti non si aspetta Halloween per andare da Lucia, per parlare con i morti.
Ecco alcuni messaggi rinvenuti nei teschi:
‘Principessa Lucia fai tornare mio marito a casa da me’.
‘Cara Lucia, fai guarire mio fratello da quella brutta malattia’.
‘Grazie principessa Lucia, il tuo capitano’.
Anima bella venitemi in sogno e fatemi sapere come vi chiamate. Fatemi la grazia di farmi uscire la mia serie della cartella Nazionale. Anima bella fatemi questa grazia, a buon rendere...
Napoli 3/4/1944
La famiglia dell'Aviere Lista Ciro trovandosi senza notizie di suo figlio da pochi giorni dopo l'Armistizio e quindi sono otto mesi ed essendo devota di voi aspetta con tanta fede da voi la bella grazia.

Lucia
In qualsiasi mese dell’anno, la nicchia dove c’è il teschio di Lucia (ancora incorniciato nel suo velo da sposa) è piena di bigliettini, preghiere, fiori freschi e di plastica, ex voto. E tra i fiori e gli ex voto, c’è anche un vestito da sposa impacchettato e sistemato ai piedi della nicchia, la ragazza che fa da guida nell’ipogeo, spiega che era preso in prestito da ragazze povere, che altrimenti non avrebbero potuto permettersi l’abito bianco. La leggenda narra di Lucia, ragazza di nobile famiglia, forse morta mentre scappava da un matrimonio combinato oppure morta subito dopo il matrimonio. In ogni caso, una giovane e un amore finito male. E a lei le napoletane si rivolgevano (e tuttora si rivolgono) per ricevere una grazia…
Si rivolgono a lei, e alle altre anime pezzentelle, nella chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco o al Cimitero delle Fontanelle alla Sanità.

Il Teschio del Capitano con "l'occhio nero" Questo teschio era stato adottato da una povera ragazza, ad esso ella rivolge tutte le sue cure e preghiere, supplicandolo perché le facesse trovare marito. Così avvenne e, prima di andare all'altare, la giovane volle ringraziare il teschio per la grazia ricevuta. Il giorno delle nozze tutti erano attirati dalla presenza in chiesa di uno strano tipo vestito da soldato spagnolo; questi, al passaggio degli sposi, sorrise alla ragazza e le fece l'occhiolino. Il marito, ingelosito, lo affrontò e lo colpì ad un occipite con un pugno. Tornata dal viaggio di nozze, la giovane si recò subito al cimitero per ringraziare ancora il suo teschio e lo trovò con una delle orbite completamente nera. Si gridò al miracolo ed il teschio in questione fu indicato come il "Teschio del Capitano". In seguito gli furono attribuiti anche altri miracoli.

TEATRO SANNAZARO

Molte sono le leggende popolari e i detti popolani sulla figura più esoterica e strana di Napoli
Il Munaciello personaggio esoterico napoletano

‘O Munaciello è un personaggio imprevedibile ed è temuto dal popolo per i suoi dispetti ma è anche amato perché a volte fa sorprese gradite che sollevano anche economicamente la situazione di una famiglia. Egli si manifesta come un vecchio-bambino che indossa il saio dei trovatelli, che venivano ospitati nei conventi. Amante delle donne, leggermente vizioso, è solito in presenza delle giovani e belle donne palparle con un comportamento da "rattuso" ed in cambio di questo e/o dello spavento che il suo aspetto ripugnante procura a chi lo incontra lascia delle monete. In questo caso non bisogna rivelare a nessuno l'episodio, pena l'accanimento del Munaciello nei nostri confronti.

Vi sono due ipotesi sulla sua origine:
La tradizione narra che la “storia” delle origini del Munaciello: verso il 1445, epoca in cui Napoli era governata dagli Aragonesi, la bella Caterinella (Caterine Frezza), figlia di un ricco mercante, s’innamorò di un bellissimo giovane garzone, Stefano Mariconda. L’amore fu contrastato dal padre di lei tanto che un giorno il ragazzo fu trovato morto nel luogo dove era solito incontrare Caterina. La fanciulla dal grosso dispiacere si ritirò in convento dove in seguito diede alla luce un bimbo deforme. Le suore lo accudirono e gli cucivano vestiti monacali con un cappuccio per nasconderne le deformità. Fù così che quando usciva dal convento per le strade di Napoli il popolo cominciò a chiamarlo “lu munaciello”. Col passar degli anni gli furono attribuiti poteri magici tanto da farlo divenire una leggenda che oggi tutti i napoletani conoscono.
La seconda ipotesi vuole che il Munaciello sia il gestore degli antichi pozzi d'acqua che, in molti casi, aveva facile accesso nelle case passando attraverso i cunicoli che servivano a calare il secchio. Quando non veniva pagato per i suoi servizi egli si vendicava facendo dei dispetti agli abitanti della casa.
Secondo gli occultisti la storia di questo fanciullo è pura invenzione del popolo che volle assegnare aspetti benevoli ad un individuo demoniaco. Infatti secondo la teoria esoterica il munaciello non era altro che una presenza demoniaca del male che, ricorrendo a doni, in realtà ingannava le vittime cercando di comprarne l’anima. Il popolo ha però esorcizzato la paura e ancora oggi aspetta la visita de ‘0 munaciello che può lasciare del denaro inaspettatamente senza chiedere nulla in cambio.

TEATRO AUGUSTEO

Nella credenza popolare napoletana è lo spirito della casa e rappresenta uno spirito benigno.

La Bella Mbriana ... spirito benevolo della Casa Avere questa presenza nelle case significa benessere e salute. Di aspetto avvenente, regna, controlla e consiglia gli abitanti. Nel corso dei secoli, e ancora oggi, è l'antagonista del munaciello. E' anche detta Meriana oppure Mberiana. La derivazione etimologica proviene dal latino: meridiana, il cui mariana indica l'ombra quasi a rappresentare un'ombra sotto cui ripararsi oppure indica il significato etereo dell'essere. A testimonianza dell'affetto dei napoletani verso questa figura, è molto comune a Napoli il cognome Imbriani derivante, appunto, da 'Mbriana. Alla bella 'mbriana piace l'ordine e la pulizia e per questo una casa trascurata la rende irascibile. Quando si decideva un trasloco, si cercava di parlarne fuori casa, in modo da nn farla ascoltare per non tirarsi addosso le sue ire. In antico, si metteva a tavola un posto in più per lei e una sedia libera perchè poteva entrare 'A bella 'Mbriana e sedersi per riposare. Se tutte le sedie fossero state occupate la nostra Amica sarebbe potuta andar via con tutte le sciagure derivanti dalla mancata ospitalità!

888'A Janara...

nella credenza napoletana contadina, è una specie di strega presente nei racconti popolari.
La Strega chiamata Janara nella fantasia popolare contadina napoletana

La Janara usciva di notte e si intrufolava nelle stalle dei cavalli per prenderne uno e cavalcarlo per tutta la notte. Completamente nuda e vecchia, una volta scoperta, aggrediva e addirittura sbranava le sue vittime. Aveva l'abitudine di praticare le treccine alla criniera del cavallo che aveva preso, lasciando cosi un segno della sua presenza. Tante volte il cavallo non sopportava lo sforzo immane a cui era sottoposto, e moriva di fatica. Contrariamente a tutte le altre streghe, la Janara era solitaria e tante volte anche nella vita personale di tutti i giorni, aveva un carattere aggressivo e acido. Per poterla acciuffare, bisognava immergersi completamente in una botte piena d'acqua per poi afferrarla per i capelli che erano il suo punto debole. L'etimologia porposta per il termine popolare jamara metteva in connessione tale nome con il latino ianua=porta, in quanto essa è insidiatrice delle porte per introdursi nelle case. Per allontanarla si è soliti mettere, davanti alla porta di casa una scopa di fascine; la janara è costretta a contare i rametti sottili; intanto scompare la luna e, con essa anche il pericolo. Ancora oggi una piccola scopa, appesa alla porta o al muro di casa è ritenuta uno "scaccia-guai".

La Massoneria a Napoli
Fasi del rituale di iniziazione a Maestro Massone
Un sicuro insediamento della massoneria a Napoli, a parte un precedente non del tutto certo del 1728 (relativo ad una loggia denominata Perfetta Unione), può esser fatto risalire al 1749, ad iniziativa di un mercante di seta francese, tale Louis Larnage, fondatore di una loggia alla quale aderirono diversi ufficiali e numerosi nobili. Dalla loggia originaria si distaccò un gruppo, guidato dallo stesso Larnage, che costituì un’altra loggia di più modesta fisionomia sociale. Nel luglio del 1750, per iniziativa dello Zelaia, Raimondo di Sangro principe di San Severo fu eletto gran maestro della embrionale libera muratoria napoletana e dette rapidamente mano ad una notevole espansione della confraternita.La pubblicazione, avvenuta il 28 maggio 1751, della Bolla Providas Romanorum Pontificum emanata da Papa Benedetto XIV per ribadire la condanna pontificia del 1738, indusse Carlo VII di Borbone (poi Carlo III, come re di Spagna) alla promulgazione di un editto (10 luglio 1751) che proibiva la Libera Muratoria nel regno di Napoli. Avendo avuto sentore della tempesta che stava per abbattersi sulla neonata massoneria napoletana, fin dal 26 dicembre 1750 il principe di San Severo aveva minutamente informato il re sulla esatta realtà dell’organizzazione da lui presieduta e, con altrettanta tempestività, il 1° agosto 1751 inviò al Papa un’abilissima lettera di ritrattazione. Le proteste di lealismo politico-religioso del San Severo valsero a limitare le sanzioni contro i liberi muratori napoletani, che si ridussero per la stragrande maggioranza di essi a una solenne ammonizione giudiziaria.Nel 1763, divenuto re di Spagna fin dal 1759 Carlo VII e regnante sotto la tutela del toscano ministro Bernardo Tanucci l’ancora minore suo figliolo Ferdinando IV, il gran maestro aggiunto della G. L. Nazionale d’Olanda Franc Van der Goes concesse una patente provvisoria di fondazione per una loggia sotto la denominazione di Les Zelés. La patente definitiva venne rilasciata dalla G. L. Nazionale di Olanda il 10 agosto 1763 e ad essa il 10 marzo 1764 fece seguito un’altra patente, che promuoveva la loggia Les Zelés al rango di Gran Loggia Provinciale per il regno di Napoli.Tra il 1766 ed il 1767 un gruppo di fratelli, guidato dall’abate Kiliano Caracciolo, creò una loggia dissidente sotto la denominazione di La Bien Choisie, ottenendo il 26 aprile 1769 una patente di fondazione dalla G. L. d’Inghilterra (Moderns), la quale in pari tempo (7 marzo 1769) aveva altresì rilasciato un’altra patente per una loggia, la Perfect Union n. 368, la quale fu investita del rango di Gran Loggia Provinciale, con a capo il duca di San Demetrio e della Rocca, sostituito nel 1773 da Francesco d’Aquino principe di Caramanico.Nel 1775 il principe di Caramanico proclamò la nascita di una G. L. Nazionale Lo Zelo, ovviamente indipendente dalla G. L. d’Inghilterra, che reagì affidando al duca di San Demetrio e della Rocca il compito di ricostituire una Gran Loggia Provinciale.

re Ferdinando IV e Bernardo Tanucci
Re Ferdinando IV e Bernardo Tanucci persecutori della Massoneria Napoletana Ferdinando IV il 12 settembre 1775 firmava un nuovo editto contro la massoneria, a conferma di quello del 1751. Il 1° gennaio 1776 il ministro Bernardo Tanucci ordinò una perquisizione e nelle mani della polizia rimasero alcuni borghesi, tra i quali il professore di matematica Felice Piccinini ed il grecista Pasquale Baffi, membri della G. L. Provinciale “inglese”. I lavori massonici furono ufficialmente sospesi e il gran maestro principe di Caramanico fu costretto a una pubblica abiura. Ma il processo agli arrestati, grazie alle pressioni esercitate sulla Regina Maria Carolina dallo stesso principe di Caramanico e da Diego Naselli, si concluse con la loro liberazione e con l’inaspettato pensionamento del ministro Tanucci.Nel giugno 1776 i membri della G. L. Nazionale elessero Diego Naselli gran maestro. Nel 1777 quest’ultimo aderì al Rito della Stretta Osservanza Templare, coinvolgendovi per intero la G. L. Nazionale. Nel 1779, a seguito degli sviluppi verificatisi in seno al Regime della Stretta Osservanza mediante il Convento di Lione e la riforma elaborata dal Willermoz con la trasformazione del Regime medesimo in quello Scozzese Rettificato, il Naselli e la sua Gran Loggia Nazionale aderirono alla riforma. Dal 1783, a causa della forzata rinunzia da parte del conte di Bernezzo, il Naselli assunse anche la carica di gran maestro provinciale.Nel frattempo continuava pur sempre a sopravvivere la Gran Loggia Provinciale “inglese” diretta dal duca di San Demetrio, tra i cui aderenti si devono ricordare, oltre al già citato Pasquale Baffi, il giurista Mario Pagano, l’ammiraglio Francesco Caracciolo, il medico Domenico Cirillo, l’ufficiale Giuseppe Albanese. Nel 1784, nel piedilista dell’aristocratica loggia La Vittoria, alle dipendenze del Rito Scozzese Rettificato, troviamo anche il poeta Aurelio Bertòla de Giorgi ed il conte Vittorio Alfieri, iniziato probabilmente tra il 1774 ed il 1775. Alle soglie della rivoluzione francese, tuttavia, la G. L. Nazionale era in piena regressione numerica. Il 3 novembre 1789 Ferdinando IV rinnovò la proibizione delle attività massoniche ed il gran maestro Naselli dette ordine alle logge di sospendere i propri lavori.
È certo che i nascenti clubs giacobini, che avrebbero entusiasticamente sostenuto la repubblica partenopea, reclutarono a preferenza tra i fratelli massoni. Molte delle vittime della restaurazione borbonica, in effetti, erano transitate nelle logge della G. L. Nazionale od in quelle della G. L. Provinciale inglese.
Fonte GOI